Il Papa ai parroci romani: vivrò in preghiera ma nascosto al mondo, nella certezza che il Signore vince
Momento di grande commozione ieri mattina in Aula Paolo VI. Benedetto XVI ha incontrato per l’ultima volta i sacerdoti della sua diocesi di Roma, guidati dal cardinale vicario Agostino Vallini. A due settimane dalla fine del suo ministero petrino, il Pontefice ha svolto un'ampia riflessione sulla sua esperienza al Concilio Vaticano II. Prima del suo intervento, a braccio, il Papa ha affermato che, dopo il 28 febbraio, rimarrà vicino ai sacerdoti nella preghiera, ma vivrà nascosto al mondo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Un grande, commosso e lunghissimo applauso ha accolto Benedetto XVI in Aula Paolo VI. Intensa l’emozione tra i sacerdoti romani per questo ultimo incontro con il loro vescovo. Sentimenti che sono stati sintetizzati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Il porporato ha affermato che la diocesi di Roma gli sarà sempre grata per il suo esempio e la sua visione alta della vita sacerdotale. Il Papa ha, quindi, iniziato il suo intervento esprimendo la gioia di vedere come la Chiesa di Roma è una Chiesa viva e il suo clero è realmente cattolico, universale pur mantenendo una propria forte e robusta identità. Poi, in un momento di intensa commozione, ha confidato ai suoi sacerdoti come vivrà dopo la fine del suo ministero petrino:
“Anche se mi ritiro adesso, in preghiera sono sempre vicino a tutti voi e sono sicuro che anche tutti voi sarete vicini a me, anche se per il mondo rimarrò nascosto”.
Benedetto XVI ha, così, espresso quella che, con grande umiltà, ha definito “una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II”. Un discorso, a braccio, che è iniziato con il racconto del suo impegno di giovane professore accanto al cardinale di Colonia, Frings, uno dei protagonisti della stagione conciliare. Il Papa è tornato con la memoria agli anni ’60 ed ha ricordato i suoi sentimenti e le sue speranze per il Concilio:
“Noi siamo andati al Concilio non solo con gioia, ma con entusiasmo. C'era un’aspettatava incredibile. Speravamo che tutto si rinnovasse, veramente che venisse una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa”.
Speravamo, ha proseguito, che la Chiesa fosse di nuovo “la forza del domani e la forza dell’oggi”. E si sperava di trovare di nuovo “l’insieme tra la Chiesa e le forze migliori del mondo, per aprire il futuro dell’umanità”, per il “vero progresso”. Eravamo, ha detto ancora, “pieni di speranza, di entusiasmo e anche di volontà di fare il nostro” perché ciò avvenisse. Il Papa ha messo l’accento sullo spirito ecclesiale, universale che permise ai Padri Conciliari di superare alcune difficoltà iniziali nell’organizzazione dei lavori. In particolare, ha ricordato che l’episcopato francese e quello tedesco, particolarmente attivi al Concilio, avevano diversi interessi in comune: dalla riforma della liturgia all’ecclesiologia, dalla Parola di Dio all’ecumenismo:
“Io trovo adesso retrospettivamente che era molto bene cominciare con la liturgia, così appare il primato di Dio, il primato dell’Adorazione”.
Era “realmente un atto di Provvidenza”, ha rimarcato, che “agli inizi del Concilio sta la liturgia, sta Dio, sta l’Adorazione”. Di qui, ha offerto anche una riflessione sul mistero pasquale come “centro dell’essere cristiano, e quindi della vita cristiana”, espresso nel tempo pasquale e nella domenica:
“In questo senso è peccato che oggi si sia trasformata la domenica in fine settimana, mentre è la prima giornata, è l’inizio: interiormente dobbiamo tener presente questo, è l’inizio, è l’inizio della Creazione, della ricreazione della Chiesa, incontro con il Creatore e con Cristo Risorto”.
Ha poi rivolto il pensiero all’importanza che il Concilio ha dato all’intellegibilità dei testi e alla partecipazione attiva. Purtroppo, ha però constatato, “questi principi sono stati anche male intesi” perché “intellegibilità non dice banalità, perché i grandi testi della liturgia” hanno bisogno di una formazione permanente del cristiano, perché cresca ed entri sempre più in profondità del mistero e così possa comprendere”. Non si capisce un testo “solo perché è nella propria lingua”:“Solo una formazione permanente del cuore e della mente può realmente creare intelligibilità ed una partecipazione che è più di una attività esteriore, che è un entrare della persona, del mio essere nella comunione della Chiesa e così nella comunione con Cristo”.
Sul tema della Chiesa, il Papa ha quindi affermato che il Concilio ha mostrato che “non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale”. E’ anche questo, certo, ma pure “un organismo, una realtà vitale, che entra nella mia anima, così che io stesso” sono “elemento costruttivo della Chiesa come tale”. Al contempo, ha aggiunto non si può accettare che un gruppo “si dichiara Chiesa”:
“No, questo ‘noi siamo Chiesa’ esige proprio il mio inserimento nel grande ‘noi dei credenti di tutti i tempi e luoghi”.
Il Concilio ci insegna così che entrando in comunione con Cristo "siamo davvero popolo di Dio". Il Papa ha così ricordato il confronto sul tema della collegialità e si è soffermato sull’ecumenismo e il dialogo interreligioso affrontato dal Concilio in particolare nel documento “Nostra Aetate”. Il Pontefice ha tenuto a ribadire che c’è molto da fare per “arrivare ad una lettura realmente nello spirito del Concilio” la cui applicazione “ancora non è completa”. Ed ha dedicato la parte conclusiva del suo discorso al ruolo dei mezzi di comunicazione. “C’era il Concilio dei Padri, il vero Concilio – ha avvertito – ma c’era anche il Concilio dei media” che dava un’interpretazione politica e non di fede di quanto accadeva:
“Per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa (…) c’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i vescovi e poi, tramite la parola ‘popolo di Dio’, il potere del popolo dei laici”.
E così, ha lamentato, anche per la liturgia: “Non interessava la liturgia come atto della fede”, ma “come una cosa di attività della comunità, una cosa profana”. Benedetto XVI parla di “banalizzazioni dell’idea del Concilio”, anzi di un “Concilio virtuale” che “era più forte del Concilio reale”:
“Mi sembra che 50 anni dopo il Concilio vediamo come questo Concilio virtuale si rompe, si perde e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della Fede, lavorare perché il vero Concilio, con la forza dello Spirito Santo si realizzi e sia rinnovata la Chiesa”.
Alla fine della sua monumentale riflessione sul Concilio Vaticano II, Benedetto XVI ha quindi salutato, commosso, per l’ultima volta i suoi sacerdoti:
“Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: vince il Signore. Grazie”.